Ricorrono oggi i 75 anni dalla morte di Achille Grandi.
La vita del fondatore delle Acli si conclude il 28 settembre 1946, a soli 63 anni, nel rigore e nella sobrietà che ha contraddistinto tutta la sua esistenza.
A Desio, dove si è ritirato per un male che non gli lascia scampo, è ospite nel piccolo appartamento, destinato al portiere, accanto alla villa del suo amico Mario Longoni: due camerette e un cucinino in cui aveva già vissuto da sfollato durante i bombardamenti di Milano dell’agosto 1943. Accanto a lui solo la moglie, Maria, immortalata in una delle due foto che si hanno di Grandi, quella in piazza San Marco a Venezia del 1920.
Nell’altra foto, quella più ufficiale, indossa una camicia a righe (nella realtà bianche e rosa, chiamata “ministeriale” perché si acquista coi punti a prezzo calmierato al prezzo di 32 lire), comprata dal suo collaboratore Mario Baldelli per scattare la foto ufficiale come segretario confederale della Cgil Unitaria.
Sembrano così lontani quei tempi memorabili che, invece, solo due anni prima hanno fatto la storia del nostro Paese.
E’ il 9 giugno 1944 e siamo a Roma. Giuseppe Di Vittorio, Achille Grandi ed Emilio Canevari firmano il cosiddetto “Patto di Roma” con il quale viene istituito formalmente il sindacato italiano Cgil Unitaria. Il pensiero dei tre fondatori va però a Bruno Buozzi, che aveva partecipato alla sua preparazione, ucciso dai nazisti la mattina del 4 giugno, insieme ad altri tredici prigionieri sulla via Cassia. Il primo gesto memorabile dei tre è proprio per lui: sul testo del Patto viene apposta la data del 3 giugno 1944, ultimo giorno di vita di Buozzi.
Basterebbe la cronaca di quel giorno a descrivere la grandezza dei personaggi attorno al tavolo, la solida intesa che li porta a compiere un passo storico, la fede nei valori della rinascita democratica dopo il ventennio fascista, la sensibilità ai problemi dei lavoratori all’uscita dalla guerra, quando ancora metà del Paese non è liberato.
In particolare la stima reciproca tra Grandi e Di Vittorio sarà un collante formidabile per l’unità sindacale, che verrà meno solo con la scomparsa del primo.
Achille Grandi è un operaio figlio di operai. Giuseppe Di Vittorio un bracciante figlio di braccianti. Il solco profondo che divide il credo politico dei due è colmato dalla comune esperienza della fatica, da un rispetto delle idee e da un desiderio di confronto che oggi sembra smarrito.
Se da un lato Grandi dice pubblicamente: “Di Vittorio, come uomo, è diverso dal suo partito”, trovandosi talvolta sotto il fuoco amico delle Acli per questo convincimento, dall’altro ascoltiamo con qualche commozione il racconto di Oreste Lizzadri, dirigente socialista della Cgil unitaria. E’ il 27 gennaio 1945 e Lizzadri guida l’auto di fortuna con cui, su strade malmesse, Grandi e Di Vittorio vanno a Napoli per il Primo congresso della Cgil unitaria dell’Italia liberata. Il motore si surriscalda e i tre devono fermarsi in mezzo alla strada. Grandi, già provato dalla malattia, si siede sotto un albero e si addormenta. Di Vittorio dice: “Non è che io ci creda tanto, ma se esistono i santi eccone uno”.
Achille Grandi, che Giovanni Bianchi avrebbe sicuramente collocato nella schiera dei “santi minori”, ha oggi la tessera n. 0001 del Circolo Acli Paradiso, dove è iscritto anche senza benedizione papale.
Prima di lasciare Roma per andare a concludere la sua vita a Desio, infatti, il fedele Baldelli aveva cercato di procurare a Grandi una udienza con Pio XII. Non fu concessa, forse per un incidente politico del 1945 tra Cgil Unitaria e Santa Sede. Come scrive Bellotti, con evidente commozione, “Lui era l’Operaio del Vangelo che aveva finito la sua giornata e desiderava la benedizione del Padre. Gli fu negata anche questa consolazione perché il suo sacrificio fosse completo”.