In attesa di adottare un proprio inno, nel 1945 le Acli cantano “O bianco fiore“, inno dei lavoratori cristiani scritto ai primi del 1900, adottato da don Sturzo come inno del Partito Popolare Italiano e, dopo la guerra, inno ufficiale della Democrazia Cristiana. La versione promossa dalle Acli nelle primissime manifestazioni è lievemente ritoccata in qualche parola del testo rispetto alla versione originale del 1919.
Ma già dal 1946 la Presidenza Centrale chiede di inviare i testi predisposti da aclisti di tutta Italia, affinchè si possa scegliere quello adatto ad essere musicato. Addirittura nel 1947 vengono annunciati provini e audizioni in sede di Consiglio nazionale per scegliere tra quelli già composti dalle province e dai Circoli, ma non si giunge ad una scelta.
Nel febbraio del 1948 le Acli mettono a disposizione dei dirigenti “L’inno dei lavoratori cristiani” con parole di A. Merlini e musica di S. Masini. Ogni copia costa 25 lire. Non ha però grande seguito.
E infatti nel marzo dello stesso anno il bollettino mensile “Le Acli” promuove l’acquisto dell’”Inno dei lavoratori cristiani” edito dal Circolo Acli di Subiaco e già richiesto in “4000 copie dai Circoli lavoratori”. Come sottolinea il giornale: “Un grande successo”.
L’inno, che è subito fatto proprio anche dalle Acli di Roma, sostituisce “O bianco fiore” nelle manifestazioni degli aclisti e colma un vuoto importante per l’epoca. Si può sicuramente affermare che questo sia stato il primo inno delle Acli.
Parole e musica sono del Maestro Romolo Lozzi, poeta originario di Subiaco. Dal 1935 Lozzi è a Roma perché ha rilevato la Tipografia Editrice Poliglotta di via della Frezza e ha fondato la Editrice Semper, che non a caso stampa lo spartito dell’inno che possediamo.
Il testo rispecchia i canoni dell’epoca e unisce la conquista dei diritti del lavoratore, descritto in grave stato di disagio, alla salvaguardia dei valori cristiani. Sul finale, inaspettatamente, si alzano i toni fino a parlare di nuova crociata e di grido di guerra.
Assetato di pace e lavoro / pur di case sprovvisto e di pane, / sol di speme in men dura dimane / vive un popol di gran civiltà;
già smarrita una folla cammina / alla mèta d’un falso miraggio, / e de’ padri nel sacro retaggio / più la fede d’un tempo non ha.
Sollevate, o smarriti, lo sguardo /al bel Sol di Giustizia e d’Amor! / Sotto l’ombra del bianco stendardo / troverete la pace del cor.
Una legge divina proclama / i principi d’umana eguaglianza, / ma dell’oro la vil tracotanza / sciolti ancora i suoi ceppi non ha.
Su fratelli, a raccolta! Formiamo / d’unione infrangibile patto, / e l’aurora del nostro riscatto / se compatti spuntare dovrà.
Non è merce la nostra fatica / non di bruti è l’umano sudor! / su un sol piano un’intesa più amica / ponga alfin capitale e lavor!
Così uniti, su avanti, marciamo / del lavoro alla grande conquista; / non coll’odio che aizza e rattrista / non coll’arma che uccide il fratel;
se’ de’ schiavi fu infranta la sorte / l’arma usata fu solo la croce; / dove un popolo ascolti altra voce / c’è oppressione più dura e crudel.
Di bestemmie una bocca lordata / alla prole sorrider non sa; / e di sangue una mano macchiata / se accarezza, contaminerà.
Ma se un giorno alla fede degli avi / attentare un tiranno s’azzardi / col carroccio dai bianchi stendardi / con lo scudo dei forti nel cor,
de’ Crociati a ripeter le gesta / marceremo, e la bianca bandiera / sarà ancora alla fede foriera / d’un novello e più fulgido allor.
Splendi, o sommo Pastor, sulla terra: / non può l’uomo il tuo raggio offuscar; / A un tuo cenno, noi al grido di guerra: / – Dio lo vuol! – balzeremo a pugnar.
In mancanza di una versione discografica, ho chiesto al musicista Roberto Mistichelli di riprodurre lo spartito e, pur non essendo lui un cantante, di accennare il testo di una strofa e del ritornello. QUI la sua versione accennata e QUI quella da cantare con sottotitoli.
L’esperto dà dell’inno un giudizio ambivalente. Da un lato è sicuramente musicale e ben si presta ad essere memorizzato e dunque riprodotto in forma corale duranti eventi e manifestazioni. Dall’altro è un brano di difficile esecuzione, per via di cromatismi anche arditi e di ampie estensioni. Probabilmente questo aspetto, insieme agli accenni troppo “estremisti” del testo, frena la sua adozione definitiva.
Per questo nel giugno del 1948 le Acli bandiscono un concorso “per una composizione in versi che dovrà costituire le parole dell’inno ufficiale delle Acli. La composizione dovrà essere ispirata al sentimento che scaturisce dagli ideali che guidano l’azione dei lavoratori cristiani e alle finalità proprie delle Acli. Tali concetti dovranno essere elaborati in forma breve, sintetica e adatta ad essere musicata”. Il concorso subisce un paio di proroghe e poi rimane senza esito.
Dopo vari rinvii si decide per un nuovo concorso nazionale, su parole commissionate al dirigente aclista Ugo Piazzi. Anche questo concorso non sembra avere un esito definito.
Alla fine L’“Inno dei lavoratori cristiani” è composto solo in occasione delle celebrazioni del decennio delle Acli, nel 1955, con musica di Andrea Pirazzini (direttore della Banda dei vigili urbani di Roma, sua anche la musica deIl’inno della Dc) e parole di Ugo Cavalieri (probabilmente uno pseudonimo di Ugo Piazzi, che nel 1960 diventerà terzo presidente nazionale).
Verso il ciel alto e possente / s’alza il canto del lavor; / a raccolta chiama e accende / la speranza in ogni cuor.
Una lotta lunga e dura / segnò il nostro progredir / or noi siam sicura forza / che va incontro all’avvenir.
Alzate al ciel con impeto il vessil / per salutare questo nuovo dì: / sicura guida / al fulgido ideal / di pace e di lavor / è Cristo Redentor!
L’ora attesa del riscatto / premiò il lungo confidar / non più servi all’officina, / non più tristi al focolar.
Dalla fede che rinasce / di giustizia nel fulgor, / dall’oprar concorde e puro / sorge il mondo del lavor.
Alzate al ciel con impeto il vessil / per salutare questo nuovo dì / sicura via al fulgido ideal / di pace e di lavor / è Cristo redentor!
L‘inno ufficiale delle Acli, ancora oggi quello cantato nell’associazione, si può ascoltare QUI.
Sempre nel 1955 le Acli pubblicano “Il canto del lavoro”, l’inno del decennio delle Acli, con musica è di A. De Luca (forse il trevigiano Alessandro De Luca) e parole di S. Zampogna.
Il solo che sorge ridesta la vita, / accende la lotta nel mondo in cammino; / e l’uomo riprende per alto destino, / col proprio lavoro l’ascesa infinita.
Lavoro, lavoro tu nato nel cuore / trasformi la terra in un mondo migliore.
Il pane, la terra, la casa, il lavoro / col nostro sudore sicuri vogliamo; / nè servi contesi nè macchine siamo / ma uomini liberi e figli di Dio.
Lavoro, lavoro tu nato nel cuore / trasformi la terra in un mondo migliore.
Fratelli, spezziamo le vecchie barriere, / portiamo nei campi e nelle officine, / nei forni roventi e nelle miniere / il grande messaggio di CRISTO Operaio.
Lavoro, lavoro tu nato nel cuore / trasformi la terra in un mondo migliore.
La bianca bandiera s’innalzi nel cielo / al sole di maggio rinato cristiano, / avanzan le ACLI fermento sociale, / nel solco sicuro del nuovo domani.
Lavoro, lavoro tu nato nel cuore / trasformi la terra in un mondo migliore.
L’inno del decennio si può ascoltare QUI.
L’inno delle Acli è ormai noto, con i suoi accenti lirici che, per il tempo, nulla avevano da invidiare ai canti dei lavoratori della tradizione socialista. Basti pensare a quel verso “Non più servi all’officina, non più tristi al focolar”.
Ma anche l’inno del decennio, sicuramente meno d’impatto dal punto di vista musicale, ha un testo notevole, a cominciare dal ritornello: “Lavoro, lavoro, tu nato nel cuore trasformi la terra in un mondo migliore”. Ma anche passaggi come “Il pane, la terra, la casa, il lavoro col nostro sudore sicuri vogliamo” o “né schiavi contesi, né macchine siamo, ma uomini liberi e figli di Dio” non sono da meno.
Di particolare significato il richiamo a Cristo Operaio, a testimonianza delle attese che le Acli avevano circa l’intitolazione del 1 maggio a questa figura piuttosto che a San Giuseppe. Il tema lo abbiamo trattato QUI.
“Il canto del lavoro” viene inciso sul lato B del disco contenente l’“Inno dei lavoratori cristiani”.
Il disco viene venduto dal 1955 al prezzo di 500 lire (un costo notevole, paragonabile, in termine di potere di acquisto, agli odierni 20 euro). Si possono acquistare anche le partiture dei due inni, sia nella versione per banda che in quella per pianoforte.
Il marchio Biem, riportato sul disco, è quello dell’organismo internazionale con sede in Francia che gestiva i diritti d’autore prima della nascita della Siae.
Il disco di cui siamo possesso è in una versione limitata distribuita in anteprima ai dirigenti, dentro una semplice bustina di carta velina, in occasione della manifestazione del decennale del 1 maggio 1955. Basti pensare che i codici sono incisi a mano sul bordo del vinile.
Va ricordato che la produzione di un 45 giri è per l’epoca molto innovativa. Il 45 giri si diffonde in Italia negli anni cinquanta ma solo alla fine del decennio supera per vendite il 78 giri, facendolo poi finire in soffitta intorno al 1965.