
Il 1 settembre del 1982, alle 6 del mattino a Castel Gandolfo una delegazione di giovani delle Acli guidata dal Segretario nazionale di Gioventù Aclista Claudio Gentili assiste alla messa di papa Giovanni Paolo II. Al termine c’è un brevissimo scambio di saluti tra i giovani delle Acli ed il pontefice.

Probabilmente pochi tra i ragazzi presenti hanno consapevolezza del rilievo che quell’evento ha nelle vicende acliste del tempo e nel delicato equilibrio dei rapporti tra l’associazione e l’Oltretevere.
Questo incontro fugace è infatti la premessa dell’udienza che il papa concede a Gioventù Aclista il 4 gennaio 1983 nella Sala Clementina in Vaticano nel corso del XVI congresso nazionale dei giovani delle Acli.
L’avvenimento ha qualcosa di storico: arriva a dodici anni di distanza dal 19 giugno 1971, data in cui Paolo VI ha deplorato il nuovo orientamento delle Acli che “con le sue discutibili e pericolose implicazioni dottrinali e sociali” le ha condotte fuori “dall’ambito delle associazioni per le quali la gerarchia accorda il consenso”.
Nei quattro mesi che separano l’incontro di Castel Gandolfo e l’udienza vaticana, nella sede nazionale delle Acli si vive un clima incandescente e si avranno strascichi anche nei mesi successivi.
Facciamo un passo indietro. Cosa successe veramente in quell’estate dei primi anni ’80?
Claudio Gentili, Segretario nazionale di Gioventù Aclista (come si chiamava allora) dalla fine del 1976 fino al congresso del gennaio 1993, ha una spiegazione semplice.
“Quell’incontro dei giovani delle Acli con il papa non nasconde nulla di misterioso. Mentre eravamo ad un corso di formazione di Ga nel centro di Lariano, ricevetti una chiamata di mons. Dante Bernini, vescovo di Albano e mio amico, che aveva il compito di invitare ogni mattina alla messa del pontefice nella residenza estiva un gruppo di partecipanti. Mi chiese se potevo portare il giorno successivo un gruppo di giovani lavoratori e quindi andammo con quelli che erano lì”.
La foto sembra raccontare questa verità: non si tratta del gruppo dirigente dell’organizzazione giovanile delle Acli in senso stretto. Ci sono tanti giovani senza incarichi e alcuni dei dirigenti sono addirittura in ultima fila. L’unico oscurato nella foto è lo stesso Gentili, nascosto dal leggio accanto alla moglie Laura. Si riconoscono i volti di alcuni che poi proseguiranno nelle Acli il loro impegno. C’è, in verità, anche un ex giovane aclista che non avrebbe motivo di esserci.
L’incontro è sicuramente poco preparato: papa Giovanni Paolo II, salutando velocemente Gentili al termine della celebrazione, scambia i giovani delle Acli per la Gioc.
C’è un unico “adulto” dirigente delle Acli in quella foto, in prima fila: è Ruggero Orfei. Orfei non è lì per caso. Gentili, che ha in lui un riferimento solido, l’ha avvisato dell’incontro e l’ha invitato? “Sinceramente non ricordo, forse era uno dei relatori al corso di Lariano ed è venuto”. Forse.
Sicuramente non c’è il Presidente Domenico Rosati. Anche in questo caso Gentili minimizza. “La mia prima preoccupazione fu quella di avvertire il Presidente nazionale che era a La Mendola, ad un incontro dell’Università Cattolica. Lui mi disse che sarebbe stato meglio non andare dal papa per non offrire il messaggio dei giovani delle Acli buoni e cattolici in contrapposizione agli adulti meno devoti. Ma io, ovviamente, avevo già detto di sì a mons. Bernini e quindi andammo”.
All’incontro c’è però Padre Pio Parisi, che nel dicembre 1976 era stato inviato alle Acli dall’Ufficio Cei per i problemi sociali e del lavoro, interrompendo cinque lunghi anni di assenza di un assistente. Anche con lui Gentili era in stretta sintonia.

Ma Domenico Rosati non la prende bene: “Tornato a Roma invitai Gentili ad un pranzo di pesce vicino al Gazometro e gli posi due domande: perché l’hai fatto? Perché non me l’hai detto?”. A nulla valgono le spiegazioni del Segretario di Ga, il ribadire la casualità dell’evento. Ormai si è acceso un clima di sospetto, con riflessi anche sugli equilibri interni delle Acli.
Il dato più significativo è la rottura dell’intenso rapporto tra il Presidente nazionale delle Acli ed il responsabile dei giovani. “Claudio – dice Rosati in una intervista di qualche anno fa – era uno di quelli che tenevo sotto osservazione come possibile mio successore”. Lo conferma l’interessato: “Con il Presidente avevo un rapporto stupendo. Si è irrimediabilmente rovinato per l’incontro col papa perché Domenico ha vissuto questa vicenda come un tradimento personale”.
La sintonia tra Gentili e Rosati era tale da fomentare addirittura la critica dell’opposizione interna dei giovani “rossi” delle Acli: da qui il famoso adagio “Ad essere troppo Gentili si diventa Rosati”.
La storia s’infiamma quando Gioventù Aclista comunica alle Acli che nel corso del congresso nazionale del gennaio successivo ci sarà l’udienza dei giovani con papa Giovanni Paolo II. Le implicazioni di questo avvenimento sono per molti versi ancora da ricostruire.
E’ evidente che tra il settembre 1982 ed il gennaio 1983 c’è un filo di collegamento. Claudio Gentili, ancora una volta, racconta una storia semplice (per alcuni, troppo semplice): “All’incontro di Castel Gandolfo mia moglie era incinta. Il segretario personale del papa Emery Kabongo mi disse che il papa avrebbe avuto piacere di avere notizie della nascita del bambino. Il bambino nacque due ore dopo! Lo feci sapere a Kabongo e lui mi disse che il papa avrebbe battezzato Luca nella giornata della ricorrenza del Battesimo del Signore, a gennaio. Sulla scia di questo rapporto informale avanzai anche la richiesta di una udienza privata del papa ai nostri giovani congressisti delle Acli. Insomma, avemmo l’incontro senza passare dalla Segreteria di Stato”.
Domenico Rosati parla invece di una trama volutamente ordita, di un tentativo a danno della laicità e dell’autonomia delle Acli, anche grazie a connivenze esterne all’associazione: “Io non dicevo che non si doveva andare dal papa. Ma non puoi andare e dire “io rappresento i giovani che sono buoni e gli adulti no”. Io non ho mai chiesto un’udienza al papa perché eravamo in una fase di “quarantena” e bisognava averne coscienza. Seppi poi che la cosa era stata concordata con mons. Fernando Charrier (che fino al ritiro degli assistenti era stato assistente nazionale di Gioventù Aclista e che al tempo dei fatti era titolare dell’Ufficio Nazionale della Conferenza Episcopale Italiana per la Pastorale Sociale e il Lavoro – ndr) e mediata da mons. Camisasca e da Cl”.
Rosati chiama in causa anche qualcun altro: “Quando entrammo nella Sala Clementina c’erano due personaggi seduti a parte, come due committenti che si fanno ritrarre in un quadro del ‘400”. Uno è sicuramente mons. Charrier, con cui i rapporti non erano certo idilliaci. Sull’altro esistono varie ipotesi. Forse una foto diversa dall’unica ufficialmente esistente (e la cosa è già di per sé incredibile) potrebbe aiutare.
Gentili ci tiene a precisare: “Non ho mai nascosto la mia amicizia con personaggi di primo piano di Cl, era nota a tutti anche per gli articoli che uscivano su “Il Sabato”, di apprezzamento del nuovo corso di Ga dopo il congresso di Bergamo del 1979. Ma non ho chiesto a loro di procurarmi l’udienza che invece arrivò in modo molto più semplice. Avrei potuto farlo, ma non l’ho fatto”.
Due interpretazioni decisamente diverse dei fatti che aprono un solco profondo tra i protagonisti. Una distanza che non si colmerà più e che porterà Gentili a lasciare le Acli qualche anno dopo.
In quei mesi caldi dell’autunno 1982 il Segretario di Ga può fare riferimento, con motivazioni diverse, soprattutto a Pio Parisi, Ruggero Orfei e Aldo De Matteo. Qualcuno pensa che quest’ultimo possa utilizzare la crisi interna per disarcionare Rosati ma De Matteo mantiene un profilo molto prudente e sottotraccia, attendendo gli eventi.
Nel frattempo il Presidente nazionale non resta con le mani in mano: “E’ passato tanto tempo e ormai posso dirlo. Andai da monsignor Silvestrini, gli sottoposi la questione e gli dissi che all’udienza volevamo esserci anche noi con tutto il Comitato Esecutivo Nazionale in prima fila”. Ma non basta. Nel suo intervento al congresso dirà che ciò avviene “su esplicita richiesta del Direttivo di Ga”, evidentemente ricondotto a più miti consigli.

La foto dell’udienza è la sintesi di queste complesse vicende. Quattrocento giovani delle Acli sono nell’aula ma la prima fila è effettivamente completamente occupata dagli adulti, guidati dal Presidente Rosati e l’unico giovane accanto al papa è Claudio Gentili.
Lo stesso intervento di Giovanni Paolo II crea qualche confusione perché inizia con un “Vi saluto con gioia, cari partecipanti al XVI Congresso Nazionale delle ACLI, e in voi saluto tutti i giovani lavoratori del vostro movimento”.
Il papa fa però un discorso intenso, soprattutto in due passaggi rivolti proprio ai giovani delle Acli.
In primo luogo esorta ad essere fedeli all’esigente impegno che richiede lo slogan delle Acli “da Cristiani nel mondo operaio” perchè “il mondo del lavoro ha oggi più che mai bisogno di una testimonianza cristiana e voi giovani, se fedeli a Cristo e alla Chiesa, siete, col dinamismo e l’entusiasmo che vi caratterizzano i più idonei a testimoniare i valori propri del cristianesimo”.
Un secondo passaggio importante per l’associazione riguarda l’esperienza di movimento di cristiani: “Sarete in grado di donare la testimonianza, di cui la società di oggi ha bisogno, nella misura in cui saprete rendere sempre più vigorosa e creativa l’identità cristiana che ha dato origine alla vostra associazione e che in alcuni momenti della vostra storia si è attenuata. Impegnatevi con generosità in questo sforzo, mentre proseguite la vostra attiva presenza nel tessuto sociale del vostro Paese. Ricordate sempre che essa sarebbe sterile se ciò avvenisse tralasciando di confrontarvi costantemente con la Parola di Dio autenticamente interpretata dal Magistero ecclesiastico e di inserirvi sempre più nella vita di fede delle vostre comunità ecclesiali. Di qui, invece, dovete partire, di questa realtà alimentarvi, e a questo ricondurre ogni vostro sforzo”.
Singolarmente, in un articolo di fondo che esce sul mensile di Ga “Questa Generazione” all’indomani del congresso, la frase “autenticamente interpretata dal Magistero ecclesiastico” viene omessa.
Rosati svela anche un retroscena: “Durante il viaggio in elicottero da Castel Gandolfo era stato tolto un periodo, che nella prima stesura c’era, e che sostanzialmente diceva che le Acli avevano ancora alcuni esami da superare prima di poter recuperare una corretta dimensione di fede”.
Nella stessa mattina l’intervento del Presidente nazionale delle Acli ai giovani congressisti era stato carico di preoccupazione e non aveva risparmiato pungenti critiche sul rapporto tra giovani e adulti nell’associazione. Dice Gentili: “Sembrava il discorso di un Presidente che si avviava a dimettersi”. I toni sono effettivamente forti e severi ma molti accenni fanno pensare a tutt’altro, fosse solo per quella frase finale: “questo Congresso di Gioventù Aclista che forse non sarà l’ultimo per me, visto che i Presidenti delle Acli fanno più congressi di Ga di quanti ne facciano i giovani”.
Il Presidente nazionale affonda il coltello già all’inizio del suo intervento. “C’è sempre per i giovani, ed anche per i meno giovani, la tentazione di ricominciare da zero … Alcune delle critiche severe che la Presidenza Nazionale ha rivolto alle “tesi” (congressuali di Ga – ndr) nascevano innanzitutto da questo: da un rifiuto implicito, che vi si poteva leggere, della memoria delle Acli evocate (e non comprese) al di fuori della loro collocazione di frontiera che ne è la caratteristica, la differenza specifica, l’elemento qualificante nella Chiesa e nella società. Per questo G. A. non può “saltare le Acli”; e la stessa Pastorale del lavoro, mentre con l’intervento di Mons. Charrier riconosce la validità del nostro ruolo, deve tener presente che rivolgendosi a Gioventù Aclista si rivolge in realtà a tutte le Acli, che di Gioventù Aclista sono l’origine ed il fine ed il luogo di esistenza”. Dunque, primi puntini sulle i.
Ma è solo l’inizio. “Siate consapevoli e fieri, giovani delle Acli, di questo ruolo di frontiera, di dialogo, di animazione. Siate fieri del modo con cui la classe dirigente attuale delle Acli — che voi criticate ma che non è eterna e della quale prenderete il posto – ha saputo difendere le ragioni della vitalità della prospettiva delle Acli e della loro triplice coerenza. Lo abbiamo fatto anche per voi. E voi sapete, Claudio Gentili in particolare sa, con quale spirito: con lo spirito di chi — come lo stesso Claudio ebbe a dire nel suo intervento al Congresso di Bari — è arrivato in vista della terra promessa; forse, come aggiunse Pulejo, ne ha persino assaggiato i frutti, ma sa che non potrà vedere questa terra, che non potrà prendervi dimora stabile. Non dunque avarizia o invidia: due peccati capitali che verso Ga non abbiamo davvero commesso. Voglio dirlo a futura memoria: chi pensasse che nella vita delle Acli potrà esservi mai una condizione di stabilizzazione, di quiete ottenuta e garantita; un momento in cui si possa lavorare tranquilli; chi pensasse che ciò possa ottenersi o con qualche banale armistizio politico e sindacale o con qualche più intensa diplomazia ecclesiastica, ha sbagliato organizzazione. Questa tranquillità non c’era nelle Acli neppure quando esse erano saldamente attestate nel quadrilatero del collateralismo (Acli, Cisl, Ac, Coldiretti) e quando andavano in udienza dal Papa almeno due volte all’anno. E ciò perché le Acli incarnano un problema reale: quello del rapporto, ma anche della osmosi e della sintesi, tra Chiesa e mondo del lavoro. Finché questo problema esisterà, ci sarà bisogno di una organizzazione come le Acli. Le quali sono vitali solo se, e solo perché, sono autentiche sia nella Chiesa che nel mondo del lavoro; solo cioè se non alterano questo delicato equilibrio sul quale si gioca la loro stessa esistenza ed utilità. Se la caratteristica o se volete la contraddizione cessano, se le Acli non sono più sulla frontiera ma si collocano al riparo di qualche recinto fortificato, il bisogno di sicurezza che alimenta le nostre nevrosi, anche di noi meno giovani, ne può essere forse temporaneamente appagato: ma dovremo avere a quel punto, al pari di altri che dovrebbero nel frattempo aver maturato le conseguenze sterili di certe esperienze “di campo”, la perfetta coscienza di una nostra superiore inutilità”.
Rosati affronta poi direttamente la questione dell’incontro con il papa, in programma per quello stesso pomeriggio. “Le Acli — ma non solo il vertice sempre discusso, parlo della base — hanno dimostrato di essere animate da una spiritualità solida e vitale: tanto solida da reggere persino all’impatto di una censura grave che, anche in rapporto ad errori da noi riconosciuti, veniva inflitta all’intera organizzazione dalla massima autorità della Chiesa. Allora i giovani non erano come voi. Quando parlò Paolo VI ed il Consiglio Nazionale delle Acli sottolineò la gravità impegnativa del suo richiamo, da molti giovani si ostentò indifferenza se non stizza ed ostilità. Ed erano giovani cresciuti nelle Acli “ufficiali”, col bollo ecclesiastico e relativo assistente. Voi invece avete riscoperto in modo così prepotente la vostra identità di fede attraversando il deserto della incomprensione, della diffidenza, della ricerca, del confronto. Con grande rispetto per la personale esperienza di ciascuno di voi, è troppo se vi chiediamo di ammettere che questo deserto lo abbiamo attraversato insieme, tenendoci per mano? Non voglio rivendicare nessun ruolo da Divina Commedia. Io non sono Virgilio e qui nessuno è Dante. Anche se ogni tanto si avverte qualche influsso di un dolce stil nuovo che recita, più o meno: “tanto… Gentili e tanto onesta pare…”. Non potete pensare che dispiaccia alla Presidenza il fatto che questa riscoperta così prepotente sia risultata anche persuasiva là dove ad altri non era riuscito. Se un dubbio abbiamo manifestato esso riguardava il metodo parallelo e incontrollato con cui è stata condotta un’operazione delicatissima. E al dubbio si aggiungeva il timore che il giusto privilegio concesso ai giovani potesse significare minor considerazione per gli altri, per quegli anziani che tenevano la trincea mentre le nuove leve si addestravano nelle retrovie ben protette. Questo stato d’animo c’è stato; ed è inutile nasconderlo … Dal Papa riceveremo il dono di un discorso a noi dedicato. A noi, cioè a tutte le Acli. Sarà infatti per tutte le Acli anche se, data la circostanza, si rivolgesse solo ai giovani. Ne coglieremo con grande disponibilità i riconoscimenti, gli incitamenti, le critiche. E’ nostro dovere di figli della Chiesa. Così come è nostro dovere esporre sempre e senza reticenze i problemi e le difficoltà che incontriamo in modo da aiutare la Chiesa a rendere sempre più intenso e proficuo il dialogo col mondo contemporaneo, cioè dei tempi in cui essa è chiamata ad operare”.
Il congresso di Ga del 1983 segna dunque un punto critico nella presidenza Rosati, che addirittura pare possa essere messa in discussione. Dice l’allora Presidente nazionale: “Quell’evento scatenò nelle Acli una sequenza di avvenimenti che mi amareggiarono. C’era un giro di dirigenti che sosteneva “dal papa siamo andati anche noi ma non era l’udienza nostra. Bisogna andare dal papa e Rosati non riesce”. Ero veramente contrariato”.
Ma nessuno, soprattutto in quel momento, può contendere a Rosati la guida. Tutte le polemiche su questo fronte si stemperano nei mesi immediatamente successivi salvo poi riaprirsi, su un piano più ampio, nella conferenza organizzativa di Rimini del settembre 1983, con la crisi della coalizione che aveva confermato Rosati alla presidenza nel XV congresso nazionale, tenutosi a Bari nel dicembre del 1981.
E’ davvero singolare come l’incontro del 1983 sarà destinato a sparire dalla narrazione aclista. Non è un caso che, parlando di ritorno delle Acli dal papa dopo la deplorazione, la storia ufficiale citi solo la data del 7 dicembre del 1991, sotto la presidenza di Giovanni Bianchi, con l’udienza concessa ai dirigenti e ai delegati aclisti convenuti a Roma per il XVIII Congresso Nazionale.
Gentili oggi sorride sotto i baffi e non ha dubbi: “Rosati, che governava la comunicazione, dispose che questo incontro sparisse dalle cronache e dagli annali già dalla mattina successiva”. Rosati sornioneggia: “Trovo singolare e strano che di quella prima udienza concessa alle Acli, sia pure abusivamente convocata, non ci sia traccia nella iconografia dell’associazione”.
Nel suo lungo mandato quello rimane l’unico evento ufficiale con il pontefice. Al congresso nazionale di Bari del dicembre 1981 da Giovanni Paolo II era arrivato solo un messaggio (come dice Rosati, “perigliosamente giunto”): importante per il riavvicinamento ma poco coinvolgente.
Rosati, per undici anni al timone delle Acli, dovrà attendere appunto il 1991 per rivedere il papa ad un evento delle Acli ma a rappresentare l’associazione sarà il nuovo Presidente Giovanni Bianchi. La passione e l’emozione prenderanno il sopravvento su qualsiasi riflessione politica: “L’udienza fu bella e commovente. Ci sorprendemmo a piangerci addosso io e Beppe Andreis”.
Le foto dell’incontro di Castel Gandolfo sono state gentilmente fornite da Luigi Campanale e Michele Rizzi. Quella dell’incontro di Roma è dell’Archivio storico delle Acli nazionali.