Grandi furono le speranze che le Acli riposero nel Concilio Vaticano II.
Convocato da papa Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959, prese avvio con la sua prima sessione l’11 ottobre 1962 e si interruppe a seguito della morte del pontefice il 3 giugno dell’anno seguente. Papa Paolo VI riprese i lavori, che terminarono l’8 dicembre 1965.
Per le Acli, come disse l’allora presidente nazionale Livio Labor, “il Concilio non è stato, come forse per altri, un terremoto: nella casa del Concilio ci siamo trovati subito a nostro agio”.
Le Acli attraversarono quegli anni di cammino della Chiesa con partecipazione e ne uscirono con le parole pronunciate da Paolo VI il 19 marzo 1965: “Le Acli sono movimento di massa, ma qualificato cristiano e, sotto questo profilo, confessionale, come s’usa dire; movimento democratico e perciò stesso dotato di una sua autonomia e di propria responsabilità, ma non estraneo al campo delle forze cattoliche operanti per la rigenerazione sociale, morale e spirituale del nostro tempo; movimento di lavoratori e perciò impegnato a conoscere, a seguire, a risolvere ogni loro problema, ma non per via sindacale o politica; movimento rivolto alla formazione religiosa; morale; tecnica; sociale del lavoratore, ma non per questo insensibile alle questioni pratiche e contingenti in cui si svolge la vita di lui”.
Il tema di un terreno d’azione prettamente temporale era per le Acli di grande interesse. Come spiegò Labor nella sua relazione al X congresso nazionale del novembre 1966, “Nel definire il ruolo dei laici e nell’affidare ad essi un compito di apostolato, di animazione cristiana dell’ordine temporale il Concilio ci ha resi ancor più avvertiti della inesistenza di un solo modello personale o di gruppo a cui ispirarsi; l’azione sociale cristiana si esercita cosi su una molteplicità di scelte tutte lecite e possibili, mentre attua la scoperta del valore delle realtà temporali. In quesa luce i laici sono coscienti sperimentatori di nuove sintesi sociali e culturali in un atteggiamento di dialogo col mondo”.
“Dal Concilio – proseguì il presidente nazionale delle Acli – sentiamo infatti convalidata la nostra tensione a moltiplicare il numero dei militanti operai autenticamente cristiani, operanti in uno specifico terreno d’azione squisitamente temporale; sentiamo confermato il nostro metodo pedagogico, organizzativo, di azione sociale cristiana articolata e snodata nella omogenea pressione del Movimento e degli impegnati; e ci sentiamo rincuorati a perseguire, come obiettivo prioritario del Movimento, quello della azione sodale di base — imperniata, come è noto e come abbiamo con leale sforzo cercato di fare in questi anni, sulla fabbrica, sulla città, sul mondo contadino e sulla emigrazione — per effettivamente tentare di rovesciare il pigro ritmo tradizionale di sviluppo delle organizzazioni democratiche, stimolando la partecipazione dal basso (anche con i gruppi di fabbrica e i gruppi-rurali) e l’assunzione di responsabilità personali a tutti i livelli”.
E infine: “È questa, comunque, per noi — fare le Acli, farle in modo libero, autonomo, originale — la risposta all’appello conciliare rivolto ai laici: quello di vivere la Chiesa nel proprio stato”.
Una volta terminati i lavori, uno degli otto messaggi finali del Concilio fu indirizzato direttamente ai lavoratori.
Le Acli, prontamente, stamparono un piccolo pieghevole che ne proponeva il testo integrale. A corredo furono poste le immagini di Giovanni XXIII e di Paolo VI.
“Figli carissimi – scriveva il papa – state prima di tutto sicuri che la Chiesa conosce le vostre sofferenze, le vostre lotte, le vostre speranze; che essa apprezza altamente le virtù che nobilitano le vostre anime: il coraggio, la dedizione, la coscienza professionale, l’amore alla giustizia; che riconosce pienamente gli immensi servizi che voi rendete all’insieme della società, ciascuno nel proprio posto e spesso nei posti più oscuri e più disprezzati. La Chiesa ve ne dà atto e ve ne ringrazia attraverso la nostra voce”.
“Di questo amore della Chiesa per voi lavoratori – proseguiva il messaggio – vogliamo noi pure essere testimoni presso di voi, e vi diciamo con tutta la convinzione delle nostre anime: la Chiesa è vostra amica. Abbiate fiducia in lei! Alcuni tristi malintesi, nel passato, hanno troppo a lungo alimentato tra noi la diffidenza e l’incomprensione; la Chiesa e la classe operaia ne hanno entrambe sofferto. Oggi è suonata l’ora della riconciliazione, e la Chiesa del Concilio vi invita senza secondi fini a celebrarla”.
“La Chiesa – proseguiva Paolo VI – cerca sempre di comprendervi meglio. Ma voi dovete cercare a vostra volta di comprendere che cosa è la Chiesa per voi lavoratori, che siete i principali artefici delle prodigiose trasformazioni che il mondo oggi conosce: perché voi sapete bene che se non le anima un potente soffio spirituale esse saranno la rovina dell’umanità, invece di fare la sua felicità. Non è l’odio che salva il mondo! non è il solo pane della terra che può saziare la fame dell’uomo”.